In un ipotetico nuovo scenario di restrizione del credito da parte delle banche quali strumenti possono disporre le imprese per continuare a finanziarsi? Alla domanda risponde la finanza alternativa che mostra ogni anno numeri in crescita in linea con il resto dell’Europa: secondo Deloitte Alternative Lender Deal Tracker (I trimestre 2018), il settore è aumentato del 22% rispetto ai 12 mesi precedenti. Come nel caso dei mini-bond che negli ultimi 5 anni hanno visto crescere il valore nominale fino a superare 16,9 miliardi di euro, 2,9 miliardi considerando solo le emissioni delle piccole e medie imprese (e 3,2 valutando esclusivamente quelle inferiori ai 50 milioni). Soltanto nel 2017, la cifra si è attestata a 5,5 miliardi di euro, pari a 170 emissioni, 147 delle quali sotto i 50 milioni, secondo i dati dell’Osservatorio mini bond del Politecnico di Milano. Parte di questi bond sono quotati alla Borsa Italiana nel segmenti ExtraMotPro pari a 1,5 miliardi di euro (soltanto 188 milioni di euro nel 2017).
Dai mini bond al private debt il passo è breve. I fondi dedicati al capitale di debito a cui si aggiungono quelli sul private equity e il venture capital, presentano numeri in crescita costante. Nel caso del private debt, nel primo semestre del 2018 sono stati raccolti sul mercato 141 milioni di euro e dall’inizio dell'attività (2013) a oggi, il fundraising complessivo si è attestato a 1,9 miliardi di euro di cui soltanto 617 milioni andati a finanziare direttamente le imprese nel 2017 e 448 milioni di euro nei primi sei mesi: «Oggi dobbiamo finanziare lo sviluppo delle imprese, muovere la finanza con strumenti che vanno incontro alle esigenze degli imprenditori - spiega Anna Gervasoni direttore generale di Aifi -. L’Italia è un mercato nuovo per il private debt, ma sta rispondendo bene e stanno affrontando il secondo turn around». Ad aiutare la crescita di questi fondi hanno contribuito gli incentivi introdotti nel 2013 dal governo con cui si è voluto lanciare canali alternativi a quello tradizionale bancario: «Sia chiaro - avverte Gervasoni - non ci poniamo in una posizione antagonista a quella delle banche dal momento che lavoriamo insieme per fornire finanziamenti a quella fascia di imprese che il sistema bancario fatica a coprire».
Una caratteristica tutta italiana, secondo Daniele Candiani, partner di Deloitte Debt&Capital Advisory: «In Italia gli operatori di private debt entrano in quelle operazioni che le banche non riescono a finanziare (per complessità o tempistica) oppure forniscono un finanziamento aggiuntivo rispetto al debito bancario “senior”. Al contrario, sui mercati internazionali, in particolare nel Regno Unito, il private debt rappresenta la fonte prevalente del debito a supporto di acquisizioni, ponendosi così in competizione diretta con le stesse banche». Nella medesima direzione vanno i fondi di private equity e venture capital con 5 miliardi di euro raccolti nel 2017 di cui 2,8 miliardi andati a finanziare direttamente i piani di sviluppo delle imprese.
Cresce anche il crowdfunding, dedicato alle start up e alle Pmi, un canale che finora ha raccolto 249 milioni di euro (153 milioni nell’ultimo anno) e che nei primi mesi del 2018 ha veicolato fondi per una cifra superiore a tutto il 2017. La voce dell’equity crowdfunding (la tipologia che prevede la sottoscrizione di capitale di rischio, per cui l'investitore diventa a tutti gli effetti socio dell'impresa)al 30 giugno ha raggiunto 33,3 milioni di euro, con una raccolta di 20,9 milioni di euro solo nell'ultimo anno, oltre il triplo rispetto a quello dello scorso anno. Mentre il lending crowdfunding (il prestito con modalità di rimborso e remunerazione del capitale attraverso un tasso di interesse) ha raccolto 216,9 milioni di euro complessivi, di cui 132,3 milioni solo nell'ultimo anno e 44,7 milioni solo per le imprese.
«I dati mostrano un mercato in forte crescita - afferma Giancarlo Giudici, direttore scientifico dell’Osservatorio crowdinvesting del Politecnico di Milano– grazie a politiche favorevoli, come l’estensione dell'equity crowdfunding a tutte le Pmi e l'applicazione della ritenuta sostitutiva del 26% ai proventi per il lending crowdfunding, all'apertura del crowdinvesting a nuove aree di business, come quella del real estate, e in generale alla progressiva maturazione del mercato. Soprattutto nel lending, si sta rivelando cruciale il coinvolgimento di investitori istituzionali».